Perdere qualcuno e perdere pezzi di sè.
La crudele consapevolezza che quel qualcuno non tornerà mai più, che non ti abbraccerà più.
Pensare al rapporto che c'era, a come si era evoluto.
Pensare a quando ti chiamava "zuccherino mio" e ti faceva trovare il gelato tutte le volte che andavi a trovarla.
E riflettere sul fatto che, forse, lei non c'era più già da un po'. Che se ne era andata più di trentanni fa, quando era morto suo marito, il nonno che non avevo mai conosciuto. Lì era finita la sua vita. E la malattia si era portata via il resto.
Quella malattia che le faceva confondere nomi, volti, persone. Quella malattia che l'aveva fatta tornare una bimba da accudire, lavare, cambiare. Quella malattia che, ogni tanto, le dava quache crudele momento di lucidità in cui riconosceva i suoi figli e i suoi nipoti e si rendeva conto del suo stato. E piangeva. Piangeva. Fino a quando non perdeva di nuovo il senno.
Vederle Isabel tra le braccia, gli occhi pieni di stupore, sentirmi chiedere: "è tua?! proprio tua?!" rispondere di sì e vederla piangere perchè ha sempre pensato che non avrebbe conosciuto i figli dei suoi nipoti.
Starle vicino durante l'agonia dei suoi ultimi giorni di vita e sentirla piangere e chiamare "mamma".
La prima parola che è anche l'ultima.
E riflettere sull'essere madre e l'essere figlia e fare un bilancio e capire che è sempre la vita ad avere la meglio.
Addio Nonna, possa tu essere in pace, finalmente.
Tesoro, mi dispiace tanto. Ti sono vicina.
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